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Nota di Vittorio Sgarbi , in occasione della mostra Senza Nero, Isernia Luglio 2017.
Il gusto, l'eleganza, la misura guidano il pensiero e la mano di Anna che sembra l'erede di Mariano Fortuny dopo un incontro con Giulio Turcato...Ne esce una pittura sensibile a minime variazioni, come da intermittenze del cuore...Vittorio Sgarbi

Claudio Strinati
Anna Di Fusco è un’artista che vive la sua esperienza con sincero fervore e, insieme, con normale naturalezza. I suoi lavori si susseguono a ritmo regolare e l’ itinerario mentale della pittrice non è mai apparentemente turbato da qualcosa di esteriore o di estraneo all’ arte stessa. Senza voler parlare di progettualità, nel senso più tecnico della parola, o di consapevole pianificazione, risulta subito chiaro appena ci si accosta alla sua esperienza, come le opere di Anna Di Fusco siano comunque il frutto di una sorta di spontanea strategia creativa, nel senso che ogni quadro nasce in conseguenza dell’ altro e in questo collegamento necessario sta l’ origine stessa di un’ arte che guarda sempre e solo all’ essenziale e obbedisce a una ispirazione sicura e concreta. E’ anche vero che una simile affermazione potrebbe essere scambiata per un paradosso essendo l’ arte della Di Fusco completamente orientata sul versante dell’ astrazione, eppure è proprio in un marcata aspirazione alla concretezza che l’ insieme del lavoro della nostra artista assume il suo pieno significato. Come sempre, del resto, non esiste un’ astrazione assoluta come non esiste neppure una mimesi assoluta sul versante opposto del figurativo. .. Ma già in opere che si misurano anche con un criterio di verosimiglianza, rifulge il vero filo conduttore dello stile della Di Fusco, che risiede in questo andare e venire tra l’ ispessimento delle superfici e il loro alleggerimento, una specie di movimento pendolare per cui gli estremi si toccano in una dialettica interna destinata a rinnovarsi continuamente, ammettendo di volta in volta sia l’ uno sia l’ altro orientamento ma sempre mantenendo un andamento equilibrato e armonico. E’ come se nell’ orientamento di fondo dell’ artista restasse sempre vigente l’ esigenza di contemperare la dimensione prettamente estetica con quella più esplicitamente etica. La Di Fusco lavora infatti a stratificazioni e eliminazioni proprio secondo un andamento dialettico. Mostra con chiarezza il suo sistema di costruzione dell’ immagine, ancorché astratta, procedendo come volesse, paradossalmente, prima nascondersi e poi manifestarsi con la massima chiarezza di espressione. Vi è in lei una esplicita emotività e , nello stesso momento, il chiaro intento di far capire come nella sua opera tutto sia sotto il controllo di una ragionevolezza e di una quiete interiore che nulla può sconvolgere o anche solo disturbare.
C’è, dietro un tale metodo di lavoro, un pensiero spirituale profondo, una istanza di meditazione e interiorità. La Di Fusco sembra voler trascendere il singolo individuo per collocare l’ insieme dell’ opera in una prospettiva più libera e meno soggettiva… In effetti una nitida attitudine a guardare oltre l’ immediata percezione ha fatto sì che la nostra autrice potesse muoversi andando avanti e indietro rispetto alla verosimiglianza delle cose senza mai perdere il filo conduttore che lega le sue opere. E questo filo conduttore non è nell’ apparenza immediata ma nella struttura profonda sottesa ai dipinti, qualunque ne sia l’ argomento, qualunque sia lo spunto da cui l’ autrice è partita per realizzarli… Del resto tutta l’ operazione pittorica della Di Fusco dà l’ impressione di una tendenza a affinare sempre più la mente trascinando con sé l’ osservatore sulla medesima strada per accrescerne la consapevolezza rispetto alla cognizione dell’ Arte. C’è, peraltro, nella nostra autrice una cultura che tende a immettere nel suo sistema figurativo elementi di diversa provenienza e estrazione. Non sono tanto i singoli quadri a caricarsi di un significato specifico, quanto l’ insieme dell’ opera, sempre più sviluppato e approfondito per conseguire un modo specifico di fare esperienza dell’arte, nel produrla e nel farla percepire. L’ arte di Anna Di Fusco pretende, insomma, un approccio libero, una mente sottratta alle contingenze del momento e disposta a assimilare i moti essenziali della percezione stessa. Questa pittura che sembra tendere verso la più radiosa emanazione luminosa, è nello stesso tempo quieta e introversa e cerca, all’ opposto, il buio insieme a una sorta di segno universale in cui tutto possa radicarsi assumendo significato. Non si potrebbe definire questo modo di fare arte, facile o difficile. Ma è probabile che per chi vi si accosta senza pregiudizi o remore, una tale pittura possa risultare di tutta evidenza, facile in definitiva, di quella facilità che è possibile raggiungere quando una vera e profonda meditazione incentrata proprio sulle massime complessità dell’ esistenza sfocia naturalmente in quella semplicità che, come è ben noto, resta sempre la cosa più difficile da raggiungere. E qui, nell’ insieme del lavoro di Anna Di Fusco, è forse possibile trovare un caso esemplare di un simile itinerario.
Barbara Martusciello

Anna Di Fusco e il suo viaggio (sentimentale) nell'astrazione.

Anna Di Fusco è una conferma di come all’arte si possa arrivare da strade trasversali,oblique. Da una partenza da autodidatta, Anna ha intrapreso un cammino di erudizione artistica in cui non sono state ininfluenti le sue frequentazioni né secondario un approccio sul campo: i tantissimi viaggi le hanno, infatti, consentito un’educazione, per così dire, sentimentale attraverso le opere dei maestri del passato. Sentimentale è un termine calzante da affiancare alla sua produzione ma, aggiungerei, alla sua intera parabola creativa e di formazione che l’ha portata a provare tecniche, materie, prassi pittoriche sempre mossa dall’amore nei confronti dell’Arte e del fare arte.

Tanto abusate da apparire spesso banalizzate e consumate, abbiamo ritegno ad adoperare le parole poesia, bellezza e, appunto, sentimento e amore ma nel caso di Anna sono esattamente queste che l’hanno avvicinata ai capolavori di eccelsi protagonisti: di Claude Monet, con la tavolozza vibrante di colori sublimi e di riverberi; e poi degli americani, o americanizzati del Black Mountain College, di Mark Rothko, della Scuola di New York...: non tanto in riferimento alla loro veemenza pittorica e a quella peculiare attitudine sperimentale e di rottura, a quell’irascibile tensione verso o il gesto e il segno o il rapporto forma-colore, ma per quella concentrazione di entrambe le tendenze sulla predilezione cromatico-luminosa che ne ha contraddistinto molti esiti.

Questa prima, più grande personale della nostra artista dichiara questo carattere e talemelange e, contemporaneamente, presenta un capitolo a sé della sua investigazione e produzione. La sua ricerca di equilibri combinatori, di compiutezza spaziale, sapienza materica e campiture consone alla sue temperatura pittorica si coniugano a un’attenzione proprio per la luce, nella doppia valenza di ombra e bagliore: che Anna imprigiona nei suoi lavori fatti con i piccoli vetri trovati e nobilitati, incastonati nelle tele; che trattiene e rilancia nei totalizzanti rossi e neri; che esalta con i perlage degli ori e degli argenti; che, infine, fa vibrare in ogni suo amalgama attraverso la somma di stratificazioni del colore.

È esattamente il co­lore, nelle sue gamme più inconsuete, attentamente cercate e inventate, il protagonista più forte delle scelte visive dell’artista che pare appropriarsi istintivamente dell’affermazione del grande maestro russo Vasilij Vasil'evi Kandinskij espresse ne Lo spirituale nell'arte (1910): “Il colore è un mezzo che consente di esercitare un influsso diretto sull'anima. Il colore è il tasto, l'occhio il martelletto, l'anima è il pianoforte dalle molte corde.”. Questa appropriazione è nei quadri di Anna di tipo immediato, semplice, ma profondamente sentito.

Lei afferra e piega ai suoi desideri tali colori e le diverse materie che lo esibiscono e lo trasportano; lo fa praticando un’astrazione di matrice lirica che gioca con le evidenti radici pittoriche storiche che si palesano sulle tele con vitale freschezza... È proprio la freschezza, e quella vena sentimentale di cui si diceva, a distinguerla e a irrobustire la sua pittura, che basta a se stessa e trae forza dal suo farsi prodotto e contenuto autosufficiente. Questa autonomia della pittura può inciampare, inevitabilmente, nelle maglie larghe del potere evocativo che è parte della gram­matica delle arti visive; quando e se avviene, la casualità rincorre la consapevolezza: Anna lo fa magnificamente, sceglie spesso titoli delle opere, non a caso, che citano umori e situazioni che richia­mano ulteriori elementi ed emozioni; gli stessi accostamenti delle tinte sono parzialmente rievocativi: non simbolici, badiamo bene, ma impreziositi da quella naturale vocazione a ricordare anche altro al di là della propria evidenza. Per esempio, le tele di un gigante della pittura come lo statunitense Clyfford Still sono, specialmente dopo il 1946, messa in campo soggettiva della pittura, decisa non-figurazione, pura astrazione che, però, rammenta accidentalmente mappature, crepacci, fenditure che possono riferirsi involontariamente a quelle del territorio nativo e messicano, a quelle della psiche e a quelle dell’eros... Ecco, nel caso delle opere di Anna, impostate su una composizione di linee, forme e colori svincolata dalla raffigurazione della realtà oggettiva, quest’ultima comunque appare in qualche misura: è fortuito accenno, flebile fantasma, fluttuante ricordo – inconscio? – della Natura e di stati d’animo (si vedano Armonia ricomposta, Promenade dans le sous-bois). L’esempio portato poc’anzi citando l’autore del North Dakota Still dimostra un nesso anche maggiore, poi, se guardiamo attentamente tra le strisce di colore, le spatolate sobrie, i contenuti intrecci segnici, le scrupolose graffiature e, in sostanza, le stratifi­cazioni e sovrapposizioni che, come lettere di un particolare alfa­beto, vanno a comporre il linguaggio con il quale si esprime la nostra artista; ebbene, anche qui, in una sorta di tridimensionalità solo abbozzata, perché sempre tenuta a freno dall’estensione fon­damentalmente piatta della pittura, andiamo a scoprire lievi crinali, delicate increspature della materia e la formazione di una profondità che nell’americano si caricavano di espressionismo e drammaticità astratta potente e dilaniante, mentre in Anna Di Fusco si manifestano come sereni veicoli – per sé e per gli altri – di raccoglimento: come a sublimare il caos della vita oggettiva, della tangibile effettività dando massa a una realtà altra che è esatta­mente quella del quadro.
Barbara Martusciello (eng)

Anna Di Fusco and her (sentimental) journey into abstraction.

Anna Di Fusco is living proof that transversal, oblique, paths can lead to art. As a self-taught artist, Anna’s hands-on approach and her friends were anything but a secondary influence during her artistic learning curve. In fact, her extensive travels and opportunity to see the works of past masters allowed her to gain an education we could callsentimental. This word fits her works like a glove but, I’d add, it also describes her entire creative parabola and training; her experiments with techniques, materials and pictorial procedures have always been inspired by her love of Art and of creating art.

Although the words poetry, beauty, but also sentiment and love are so often abused they appear banal and over-exploited, in Anna’s case these are the words which drew her to masterpieces by superlative protagonists: Claude Monet and his palette vibrant with sublime colours and reflections; the Americans, or Americanised artists at Black Mountain College, Mark Rothlo, the New York Schools…: not so much due to their pictorial vehemence, their unique, experimental, break-with-the-past approach, the irascibletension towards either gestures and signs or the form-colour relationship, but due to the way both trends concentrated on the characteristic chromatic-luminous inclination in so many of their works.

Anna’s first, bigger solo exhibition reveals this spirit and melange; it also presents her own personal exploration and production. She combines her search for combinatorial balance, spatial completeness, material wisdom, and backgrounds in line with her pictorialtemperature, with an attention to light and the dual value of shadow and shine: which Anna imprisons in her work using small pieces of discarded glass she ennobles and sets in her canvases; withheld and revived in the totalising reds and blacks; emphasised by theperlage of the golds and silvers; and finally vibrating in all her mixtures due to the strata upon strata of colour.

Colour, the unusual ranges she either chooses carefully or invents, is the strongest protagonist of Anna’s visual choices; she appears to instinctively absorb the statement by the great Russian master Wassily Kandinsky in his book, Concerning the Spiritual in Art(1910): “Colour is a power which directly influences the soul. Colour is the keyboard, the eyes are the hammer, the soul is the strings”. In Anna’s paintings this appropriation is immediate, simple, but deeply felt.

She grasps and bends these colours, the different materials that reveal and transport it, to her own will and desires; she uses lyrical abstraction to play with their obvious historical pictorial roots which emerge from her canvases with vivacious freshness… This freshness, this sentimental vein, is her signature trait, the trait that fortifies her paintings, that suffices unto itself, that draws its strength from becoming a material product and self-sufficient content. This independence of painting can inevitably become enmeshed in the large net of evocative power which is part of the grammar of visual arts; if and when this happens, chance follows awareness. Anna achieves this magnificently: often the titles she chooses for her works are not accidental choices, they refer to moods and situations that recall other elements and emotions; even her colour-coupling is somewhat re-evocative: not symbolic, make no mistake, but enriched by that natural vocation to remember something else which trascends what is visible. For example, the works of a great painter such as the American Clyfford Still are, especially after 1946, the subjective implementation of painting, decisive non-figuration, pure abstraction which, however, accidentally recalls mapping, crevasses, gorges which may involuntarily refer to his native land or Mexico, or to those of the mind and to those of Eros… In Anna’s works – organised in a composition of lines, forms and colours and not linked to the representation of objective reality – the latter is somehow present: it is a happy allusion, faint phantom, fluttering – unconscious? – memory of Nature and moods (see Recomposed Harmony, Promenade dans le sous-bois). The example referred earlier citing the artist from North Dakota reveals an even greater link if one looks carefully between the stripes of colour, the restrained brushstrokes, the intertwined sign contents, the meticulous scratches and, in short, the stratifications and superimpositions which, like the letters of a special alphabet, make up the language Anna uses to express herself. Even here, in a sort of three-dimensionality - only roughly sketched because forever held at bay by the basically flat expanse of paint – we discover slight ridges, delicate ripples of matter and the creation of a depth that in Still was charged with abstract, powerful and piercing expressionism and drama, but in Anna Di Fusco is revealed as serene vehicles of meditation – for herself and for others: a way to sublime the chaos of objective life, of the tangible effectivity that gives substance toanother reality which is precisely the reality of the painting.
Pietro di Loreto
Estro e anticonformismo ma anche intuizioni e percezioni profonde in un’operazione concettuale che si pone come una sfida allo sguardo del pubblico Anna Di Fusco è un’artista che pur con poche esposizioni alle spalle, tuttavia presenta una capacità elaborativa stupefacente : un’esordiente le cui prove pittoriche veramente stupiscono, perché appare già in possesso di una capacità comunicativa e di un bagaglio espressivo consolidato, tipico cioè di chi –come lei- da tempo si cimenta nella pittura e quindi non certo per un gioco o per caso si sottopone oggi al giudizio dei critici e degli addetti ai lavori, oltre che degli amanti delle belle arti. I suoi lavori iniziali e poi le sollecitazioni scaturite dall’ambiente intellettuale che ha frequentato e che frequenta ne hanno plasmato la personalità, che ci appare oggi già piuttosto solida, estrosa ed anticonformista. Lo dimostrano bene molte delle sue opere  che, nel corso del tempo, hanno delineato un percorso mentale non certo stravagante e neppure insolito e tuttavia assolutamente personale, frutto di un fare pittorico e di una tecnica i cui esiti incrociano molte delle esperienze e delle personalità artistiche affermatesi dopo la metà dello scorso secolo. Certamente può appare ingenuo e fuori luogo proporre paragoni (che peraltro risulterebbero oggi forse troppo impegnativi per un’autodidatta), con altri movimenti artistici ed altre esperienze formative; tuttavia è anche vero che spetta al lavoro del critico individuare le radici e i retroterra più consoni per definire una poetica che ambisce a trovare un suo spazio e a proporsi in modo originale nel mondo della contemporaneità, partendo com’è ovvio dalla contaminazione e dall’assemblaggio di formule artistiche differenti che tuttavia non contrastano né certamente nascondono il momento finale della personale meditazione. Ed in questo senso è facile pensare a vari ascendenti, alla minimal art, o alla pop art, o all’arte povera; ma, nel nostro caso, quella di Anna Di Fusco è come un’operazione concettuale : quei frammenti di vetri sparsi su molte tele, quasi che l’artista desiderasse ricomporre e dar luce ad un cammino interiore -e che in qualche caso ci pare perfino poter indicare come una sorta di trascendenza- sembrano richiamare in modo più appropriato alla mente la forza creativa del ‘gesto’. Ma se di ‘azione gestuale’ si deve parlare il riferimento è più alla tensione emotiva di un Rotko che non al dripping di Pollock, come in effetti appare in una delle prime prove, dove il colore rosso intenso dello sfondo è come investito da larghe spatolate trasversali bianche. 
Opera appassionata, perfino rabbiosa: non si può fare a meno di notare un fervore, una sorta di urgenza che percorrerà poi buona parte dei lavori successivi, nati come da un incastro tra espressionismo ed astrazione, dove quasi si esalta la fisicità delle aree nelle tele attraversate da rettangoli o meglio ‘crateri’ bianchi rossi neri, ed in altre formate da stesure di acrilico crude e intense. I colori sono applicati con una forte saturazione, privi quasi di sfumature e toni mediani e tuttavia tali da poter realizzare un calibrato equilibrio cromatico, così da evidenziarne al meglio il valore espressivo, determinante per far risaltare il significato. Ma mai , si deve dire, sull’utilizzazione di tali richiami compare un compiacimento cedevole, un’evocazione surreale dei valori del subconscio. L’arte di Anna Di Fusco ci pare piuttosto agire a livello di natura e nella natura, laddove sembra trovare le forme esemplari per il suo fine didascalico. La sua opera diviene così espressione di un atteggiamento assertivo, che è sintesi di ambiente, materiali e intenzioni dove si può cogliere –perché traspare senza alcuna mediazione- un forte spirito di modernità ma anche di laica spiritualità, se si può dire, in un certo senso obbligata in un’artista le cui trascorse esperienze di lavoro e di viaggi hanno certo generato un’apertura mentale internazionale, tanto verso le letterature che verso le arti internazionali e, per sua stessa ammissione, tutt’altro che chiusa nel suo piccolo mondo di immagini o nella rievocazione dei grandi del passato, ed anzi ben affacciata sulle esperienze artistiche del nostro tempo . E tuttavia la volontà di affermare oggi la sua consapevole presenza e di comunicare una propria cifra stilistica non si accompagna affatto al tentativo di ‘agganciare’ lo spettatore, nè ci pare miri a richiedere il conforto del punto di vista neutrale di chi osserva. Lo dimostrano gli ultimi lavori dell’artista, frutto di un sentire pittorico non riducibile a dati pregressi, ma che si proietta addirittura ‘oltre’, come se fosse una specie di sonda che cerca di penetrare in sentieri ancora non ben esplorati in ambito artistico . Certo, con la sua pittura di Anna Di Fusco ha la legittima ambizione di voler evidenziare le proprie intuizioni e dar corpo alla percezione delle proprie esperienze quotidiane, ma dichiarando immediatamente però, per le forme che delinea e per i materiali con cui compone, la propria differenza e ponendosi anzi come una specie di bersaglio allo sguardo del pubblico. E’ questo probabilmente il modo migliore, per quanto si può ritenere possibile, di sottrarsi alla patetica schiera dei semplici riproduttori di immagini.
Valeria Arnaldi
Materia. Da plasmare, sovrapporre e poi scavare. Soprattutto, materia – e materiali – da sperimentare. È la scoperta a guidare la ricerca di Anna Di Fusco, la cui prima personale è ospitata a Palazzo Odescalchi presso la Casa d’Aste Minerva Auctions. Scoperta costante della pittura, passione sentita fin da bambina e poi esplorata, nella pienezza del termine, in età più matura. E scoperta delle infinite possibilità della "creazione”. Se infatti, a un primo sguardo, il colore sembra protagonista quasi assoluto dei suoi lavori, è poi la scelta dei materiali in più contaminazioni e sovrapposizioni a catturare l’attenzione e svelare, forse, il lato più intimo della ricerca artistica: quel desiderio di andare oltre e illustrare l’emozione del vissuto. Anche quotidiano. Non a caso, in alcuni dei lavori compaiono frammenti di vetro, raccolti in strada dall’artista stessa, e poi assemblati a comporre veri e propri sentieri di luce, in opere che, giocando con rifrazioni e riflessi, si trasformano in installazioni. "Già da piccola. imbrattavo tele – racconta Anna Di Fusco – ma, devo ammettere, con esiti poco felici, sono una mancina corretta. Venti anni fa ho iniziato a usare il chiaroscuro e ora sono a questo punto. Praticamente, il mio pennello sono le mani. Il desiderio è quello di estrarre ciò che è sommerso”. E anche qui la lettura del sommerso è duplice. Da un lato, appunto, il gioco di dare nuova vita a materiali che sembrerebbero ormai finiti, come i vetri rotti delle auto. 
Dall’altro, quello di raccontarsi e raccontare, attraverso il tocco della luce, la meraviglia, filosoficamente ed emotivamente intesa, dell’arte. "Finora non avevo mai fatto una personale – prosegue – non mi sentivo pronta. Non sempre ci si sente sicuri di ciò che si fa, non intendo di fronte agli altri, ma a se stessi. Ci sono quadri che, dopo dieci anni, ho distrutto, perché non mi rappresentavano più”. Ecco allora, di opera in opera, un susseguirsi di sotterranei percorsi, che svelano proprio quando sembrano nascondere, lasciando intravedere oscurità ancora da indagare al di là di accese campiture di colore. E ancora, "ponti” che sovrapponendo diverse dimensioni finiscono in realtà per congiungere idealmente tempi distanti. Fino ad arrivare alla ricostruzione di un orizzonte, che si rivela più immaginifico proprio laddove più concretamente sembra legarsi al vissuto, terreno di incontro e dialogo tra artista e osservatore. "Ora mi sto concentrando sul materico – conclude – è sempre stata la mia passione, il colore non mi basta più. È come se io stessa fossi fatta a strati e avessi dunque bisogno di tirarli via. Da anni, volevo dipingere applicando cortecce sulla tela, ma non l’ho mai fatto. Oggi la mia ultima opera, su legno, sembra proprio ricreare una corteccia. Dipingo per sperimentare. Cerco sempre nuove possibilità. Autodidatta, lo faccio per passione. Avrei potuto iniziare prima, ma è adesso che sento di avere qualcosa da dire”.
Anna Giannandrea
Anna è pittrice, ma la sua riflessione bidimensionale già porta un pentimento, grazie alla materia non soltanto stesa e spatolata, ma offerta come massa emergente e soprattutto grazie alla luce, si avvia verso la terza dimensione. L’allestimento dei suoi “Bianchi” nell’Anno UNESCO della Luce è coerente con Cieli al Celio sui terrazzi del Rione romano. Già il “Bianco” nella cultura orientale, in pratiche ascetiche e meditative, proprie della filosofia religiosa dell’area indiana, evoca nel karma l’azione, l’energia, lo scorrere e, richiamando i quattro elementi, nello yoga evoca l’acqua. Anna espone nel luogo dove vene d’acqua e acquedotti del Celio intersecavano l’antico territorio romano e nel Medio Evo nello spazio di cento metri, le acque o sotterranee o canalizzate alimentavano almeno tre Battisteri: San Giovanni, San Clemente e, recente scoperta, quello nascosto sotto il Chiostro benedettino dei Santi Quattro Coronati. La cultura orientale unita a noi nella invisibile ma potente rete linguistica indoeuropea che sottende a espressioni e significati, collega il termine yoga al latino iugum , il legame, l’unione, dei sensi e della mente. Tutto torna nel lavoro di Anna. Ella, nella pittura verticale ha sollevato i simboli dei pavimenti borrominiani della Basilica vicina e stressa il criterio ottico fondante del colore bianco graffiando le teorie che lo riguardano, da von Helmholtz a Goethe, ad oggi, con garbo ed energia.
La cultura orientale unita a noi nella invisibile ma potente rete linguistica indoeuropea che sottende a espressioni e significati, collega il termine yoga al latino iugum , il legame, l’unione, dei sensi e della mente. Tutto torna nel lavoro di Anna. Ella, nella pittura verticale ha sollevato i simboli dei pavimenti borrominiani della Basilica vicina e stressa il criterio ottico fondante del colore bianco graffiando le teorie che lo riguardano, da von Helmholtz a Goethe, ad oggi, con garbo ed energia.